Ancora una volta andiamo alla scoperta di una montagna spinti dalla curiosità e motivazione che vengono dalle indicazioni del “Club dei 2000 metri” nella cui lista
delle vette è stata appunto di recente inserita questa nuova cima.
Ne è uscita un’escursione molto panoramica e di grande interesse non solo e non tanto per l’aver superato, anche se di poco, la fatidica quota quanto piuttosto per aver
calcato un bellissimo sentiero che attraversa ambienti austeri e solitari offrendo uno spaccato del tutto originale della Majella che sempre più si rivela un complesso
montuoso che custodisce al suo interno tanti ambienti diversi e tutti avvincenti.
Il sentiero (G6 ed anche F3) inizia proprio al termine dello stradello asfaltato che raggiunge Capo le Macchie (un cartello turistico segnala questa località sulla strada
che congiunge Fara San Martino a Palombaro passando per i campi sportivi); si può lasciare l’auto in uno slargo cento metri circa prima del termine della strada.
Il sentiero è da subito molto panoramico sulle colline ad est che digradano fino al mare Adriatico, anch’esso ben visibile con il cielo limpido come pure le Isole Tremiti
che si trovano li di fronte; si prende quota rapidamente raggiungendo in breve un manufatto per la captazione dell’acqua con annessa fontanina e poco dopo si supera un
tratto a gradoni ricavati nella roccia a ricordarci che stiamo percorrendo un sentiero antico, in alcuni punti scavato a fatica per consentire alle greggi di prendere la
via dei pascoli d’alta quota. Anche questa parte della Majella trae infatti radici profonde nella vita agreste e pastorale e di ciò ne abbiamo avuto una testimonianza
viva incontrando Domenico che è l’ultimo pastore attivo della zona con cui abbiamo avuto l’opportunità di conversare un pò sulla via del ritorno.
Si procede sempre con pendenza costante e ben presto si nota in alto la croce di Colle Bandiera ed ancora più su i contrafforti di Cima Macirenelle con il filo di cresta
che congiunge al Monte Forcone.
Nei pressi di Colle Bandiera il sentiero principale si perde un pò confondendosi su più tracce (tutte però portano alla croce) e conviene sicuramente mantenersi sulla
sinistra puntando al bordo che si affaccia su una profonda incisione. La vista si apre su dirupi costellati di grotte che precipitano in una valle inserrata di cui non
si intravede il fondo, selvaggia e probabilmente inaccessibile; le tinte autunnali delle piante danno un tocco di originalità alle pareti verticali dove sono abbarbicati
infiniti alberelli di tanti colori.
Giunti sotto alla croce, da cui si ha un bel panorama in ogni direzione, si scende di qualche metro in una valletta dove riprende ben marcato il sentiero che con un lungo
traverso guadagna ancora un pò di quota sino a raggiungere un bivio evidente (palina ed ometto): prendendo il ramo di sinistra si procede verso la Grotta Callarelli seguendo
per intero Valle Serviera ed ancora oltre fino a Bocca dei Valloni mentre sul lato di destra prosegue la salita verso Cima Macirenelle, nostra destinazione.
Sempre su fondo comodo e con pendenza costante si raggiunge a quota 1.430 un bel fontanile in un punto molto panoramico e qui senza dubbio vale la pena concedersi una sosta
per guardarsi attorno e cogliere i molti particolari che caratterizzano questo versante delle Macirenelle, in particolare le numerose grotte alcune delle quali raggiunte da
flebili tracce forse perché ancora di recente utilizzate come ricovero dagli animali.
In alto, al di sopra del fontanile, si nota una corona di rocce che dovremo raggiungere prendendo il sentiero che si imbocca sulla destra appena passato il fontanile (alcuni
segni verdi a terra) e si sale descrivendo un’ampia ansa fino a lambire il complesso roccioso dove ritroviamo altri segnavia verdi della Guardia Forestale ed i resti di uno
stazzo articolato su più cavità naturali: chinandosi si può anche entrare dentro le grotte per qualche metro così, giusto per vedere com’è il panorama dall’interno ed osservare
qualche concrezione rocciosa particolare.
Dopo aver lambito la fascia di rocce il sentiero prosegue in piano e passa accanto ad una gande volta naturale scavata nel fianco della montagna quindi prosegue ancora per un
tratto verso nord dove si traversa una vasta zona caratterizzata da prati scoscesi fino a portarsi a quota 1.700 circa alla base dell’ultimo tratto di salita verso la cima; si
deve quindi rimontare a vista un prato dove sono sparpagliate macchie di pini mughi mantenendo la direzione ovest fino a sbucare proprio di fronte alla palina con il cartello
che riporta la scritta “Cima Macirenelle” e segna anche il termine del sentiero F3 che abbiamo così percorso nella sua interezza.
In effetti ci troviamo sulla quota di 1.890 metri (toponimo storico ed anche riportato nelle carte escursionistiche) e non sulla vetta vera e propria (2.017mt) che invece è li
di fronte, sulla cima di un evidente rilievo roccioso.
In assenza di un vero e proprio sentiero l’ultima parte della salita avviene lungo alcune tracce rimanendo comunque sempre intuitiva, basta infatti aggirare sulla sinistra una
macchia di pini mughi e, superato qualche punto appena più impervio, si raggiunge una piazzola rimasta ancora sgombra dalle piante che costituisce la massima elevazione dell’escursione.
Dalla cima si apre la vista verso ovest sulla mole tondeggiante dell’Acquaviva e sullo spigolo orientale delle Murelle nonché sulla Montagna d’Ugni fino a vedere distintamente
sullo sfondo le antenne degli impianti radio sulla Maielletta; verso est la montagna precipita invece verticalmente con alcune propaggini rocciose e si percepisce il notevole
dislivello tra la cima in cui ci troviamo e le colline a valle che sono molto più in basso, confermando così fino all’ultimo come l’ampiezza dei panorami sia proprio la connotazione principale di questa escursione.
Il ritorno è per la medesima via dell’andata a parte qualche digressione qua e là ai margini del sentiero principale per cogliere ulteriori spunti paesaggistici nonché particolari
sul terreno come conformazioni rocciose e grotte numerose e di varie fattezze.
Una volta ridiscesi nei pressi di Colle Bandiera nel bel mezzo di un banco di nebbia incrociamo di nuovo il popoloso gregge di pecore e capre del pastore Domenico e, visto che
anche lui mostra il piacere di parlare un poco con noi, non ci tiriamo indietro anche perché in queste ultime escursioni fatte in questa zona molte sono le domande che ci siamo
posti lambendo diversi stazzi posti in luoghi apparentemente impossibili a soggiornarci e lontani da tutto.
E così Domenico ci racconta di essere rimasto l’ultimo pastore di Fara ad uscire con il suo gregge per condurlo in quota dalla primavera fino all’autunno, errando quotidianamente
lungo i tanti sentieri per far accedere gli animali a pascoli verdi e buoni dalla cui varietà e qualità discende la sua produzione casearia e di carne.
Ci spiega come a dei periodi relativamente stanziali - è infatti proprio lui che abita nella Grotta di Fonte Gelata sotto al Piano della Casa nei mesi centrali dell’estate - si
alternano giornate erratiche proprio come quella odierna in cui esce il montagna di primo mattino facendo fare al gregge ogni volta tappa in grotte diverse dove poi si dedica
alla mungitura ed alla preparazione del formaggio prima di ridiscendere in paese.
Gli chiediamo come sia possibile riuscire a governare ed indirizzare così tanti animali senza che nemmeno uno se ne perda ed apprendiamo che il gregge nel suo ciclico itinerare
sa sempre dove dovrà andare a ricoverarsi per la notte che arriverà, ed infatti mentre noi stiamo li a parlare gli ovini scorrono via e scompaiono alla nostra vista e Domenico
ci dice che stanno tutte andando ad una certa grotta che ben conoscono, dove lo attenderanno fiduciose per il rituale pastorale di fine giornata.
E dopo ci racconta ancora storie sugli asini, preziosi ed insostituibili attori di questa filiera, che infaticabili salgono e scendono trasportando in altro le cose utili alla
permanenza in quota dei pastori ed a valle i prodotti della pastorizia: anche loro conoscono sempre la strada che devono fare, hanno i riferimenti su dove andare e dove fermarsi
ad aspettare come pure evitare i pericoli per portare a compimento il proprio lavoro. Ci spiega come questi fidati e docili accompagnatori conoscano a menadito i vasti territori
di questa parte di montagna tanto che anni fa uno dei suoi fedeli asini rimase “intrappolato” sui pascoli d’altura per via di un’improvvisa forte nevicata di inizio stagione che
in un sol colpo aveva tagliato i ponti con il fondo valle rendendo impraticabile il ritorno: ebbene, a dispetto di ogni possibile previsione, l’asino che ben conosceva dove
ricoverarsi e dove poter trovare qualche cosa da mettere sotto ai denti superò in solitudine l’intero inverno e Domenico se lo vide un giorno venire incontro lungo il sentiero
non appena arrivato il disgelo … e poi ancora tante altre storie di un mondo che rimane impenetrabile, quasi misterioso, ma comunque affascinate per i suoi riti e le sue certezze;
un mondo dove il tempo si dilata così tanto da consentire di fare tutto quel che c’è da fare, pur tra mille difficoltà ed una pochezza di mezzi che sembra impossibile a noi che
non riusciamo a fare a meno di mille cose.
Dopo una lunga conversazione ci lasciamo con la promessa a Domenico di tornare a trovarlo la prossima estate al Piano della Casa … noi con il compito di portare appresso il vino
che a farci un piatto di pasta ci penserà lui!!